domenica 7 ottobre 2007

Un'idea per il territorio

Uno dei temi attorno al quale la politica locale tende ad affannarsi con una certa frequenza è senz’altro quello dell’urbanistica. Non sto qui a spiegarne i motivi, che sono noti a tutti, anche a chi non si interessa di politica comunale.
A volte, anche grazie ai suggerimenti di qualche professore universitario, mi son messo a pensare a quale possa essere il futuro del nostro territorio in una visione ampia, non chiusa. Perché se ci pensiamo la gestione del territorio così come pensata attualmente, è fortemente chiusa. Le amministrazioni locali ragionano come se dovessero amministrare delle piccole città-stato, in cui non farsi mancare niente. Allora ogni comune, anche quelli dalle dimensioni più contenute, dispongono di aree residenziali, di una parte di territorio che viene destinata ad attività agricole, ed infine una porzione consacrata allo sviluppo industriale. Un territorio sul modello “CaseCampiCapannoni” senza soluzione di continuità tra arre diverse.
Se ci pensate fa sorridere, questa idea di sviluppo del territorio. Pare che un comune non possa dirsi sviluppato se non ha la sua area industriale, salvo poi mantenere una porzione del territorio dedicata all’agricoltura per dimostrare un simbolico attaccamento alle proprie radici storico-culturali. Questo modo di pianificare lo sviluppo del territorio (senza dotarlo peraltro di infrastrutture viarie adeguate), ha portato al caos edilizio e al fallimento della mobilità territoriale, situazioni che, chi più chi meno, viviamo ogni giorno sulla nostra pelle.
Allora volendo abbozzare un’idea più ampia di un possibile futuro per il territorio, bisogna cercare di capire come sarà il nostro territorio tra qulche decennio, presumendo che l’andazzo attuale proceda senza cambiamenti, per poter poi valutare quali correttivi porre in essere. Per far questo mi vengono in mente alcune considerazioni introduttive alla vecchia proposta di Variante generale al piano regolatore, presentata dalla passata Amministrazione comunale di Scorzè nel 2003 per poi essere fortemente ridimensionata da quella attualmente in carica.
Spulciando ScorzèInsieme del settembre 2003 (n.3) leggo, tra le conclusioni della presentazione della Variante da parte dell’Amministrazione, in occasione dell’adozione formale, da parte del Consiglio, di quella stessa variante:

Agli inizi del mese di giugno, in Fiera a Padova, il presidente della Regione Veneto, Giancarlo Galan, ha dato inizio al primo degli incontri previsti per la programmazione del Piano regionale di sviluppo.
Tra i relatori, il prof. Enzo Rullani, dell’Università di Cà Foscari, ha previsto che entro 15 anni il Veneto sarà come Los Angeles: una grande città diffusa.
A questa provocazione ha risposto il sociologo Ulderico Bernardi, dicendo che il Veneto, con le sue tradizioni, non sarà mai come Los Angeles, definendo quella veneta una realtà “agropolitana”…
… Il nostro modello, stando al lavoro predisposto, è più vicino alla visione del sociologo Bernardi, una realtà “agropolitana” nella quale lo sviluppo insediativo ben si armonizza con il contesto agricolo nel quale, da tempo immemore, i nostri paesi sono inseriti…”

Non scrivo questo post per esprimere giudizi sulle specifiche scelte politiche di questa o quella amministrazione, però parlare di città agropolitana adottando una variante da 670.000 metri cubi un pochino stride, e ora vi spiego perché.
La doppia chiave di lettura presentata ci aiuta a fare un po’ di chiarezza: c’è un’idea di sviluppo (agropolitana) che segue una logica incrementale, ed una (metropoli diffusa) che segue una logica strategica.
Nel primo caso si decide che fare del territorio man mano che emergono nuove necessità, portando ad una crescita a mio modo di vedere disordinata e fondamentalmente opportunistica. Infatti la soluzione diventa quella di trasformare terreni agricoli in edificabili man mano che servono nuovi spazi per l’ediliza industriale ed abitativa. Di fatto si “mangia” un pezzo di territorio alla volta, con buona pace dello sviluppo agropolitano, perché con questa logica, nel lungo periodo finiranno i campi da convertire in aree fabbrcabili, e di conseguenza, anche le aree fabbricabili stesse. Questa è la logica che attualmente, quasi tutte le Amministrazioni comunali seguono.
L’altra logica è quella di lungo periodo: siccome tra un po’ non vi sarà più soluzione di continuità tra gli insediamenti dei diversi paesi (indipendentemente dai prg dei singoli comuni), perché non pensiamo al nostro territorio come una grande area da urbanizzare, ponendo in essere di conseguenza scelte che mirino alla qualità della vita all’interno di questo territorio? Ho avuto la fortuna di conoscere il professor Rullani, e di confrontarmi con lui su queste tematiche. La sua idea è forse banale, ma illuminante:

“Il concetto è quello della città-rete. Invece di pensare il Veneto come campagna urbanizzata, piangendo sulla dispersione degli insediamenti, pensiamolo come una unica grande citta' (metropoli) del raggio di un centinaio di chilometri (tanto ci sono le ICT (tecnologie della comunicazione, ndr), perche' come trasporti la cosa non funzionerebbe). Allora i residui di verde tra una citta' e l'altra diventrano dei parchi, dei polmoni per nuovi insediamenti funzionali al vivere bene. Poi, riconosciuta questa città potenziale, infrastrutturiamola in modo che la gente possa veramente spostarsi da un punto all'altro o comunque contattare facilmente un avvocato, un medico o un progettista a 100 km di distanza, come se abitasse in un'unica grande città.”

Si dirà che questa logica dovrebbe essere seguita dagli strumenti di pianificazione regionali, ma evidentemente anche in quest’ambito si segue la regola “un po’ per ciascuno”, spartendo costi e benefici per il territorio regionale.
Dato questo presupposto, il ragionamento sul futuro del nostro territorio (apparentemente egoistico rispetto alle altre aree coinvolte, ma sarebbe possibile generalizzarlo ed adattarlo con la collaborazione delle Amministrazioni comunali presenti in tutta l'area) dovrebbe essere il seguente: dato che il quadrilatero Venezia-Padova-Castelfranco-Treviso sta diventando una grande metropoli diffusa, cosa vogliamo che sia Scorzè per questa metropoli? Una zona industriale nel centro di una metropoli? Una periferia degradata rispetto ai poli attrattivi della metropoli? Un grande parco attorno al Dese? Una zona direzionale decentrata al centro della metropoli? Cosa?
In base alla risposta che si dà a queste domande si dovrebbe conseguentemente agire. Evidentemente se si vuole evitare che Scorzè e, più in generale, tutto il Miranese, diventino una zona industriale o una periferia degradata (speranza che credo comune a tutti quelli che in questo territorio vivono, magari da generazioni) bisognerebbe rinunciare ad aumentare le zone industriali e ad un po’ di metri cubi residenziali, favorendo un’edizilia residenziale di qualità o l’insediamento di servizi di qualità. Questo, ripeto, senza voler giudicare le scelte fin qui fatte da qualsivoglia amministrazione.
Troppo difficile? Fantaurbanistica? Forse si, ma se questa è fantaurbanistica allora l’idea che regge l’attuale sviluppo urbanistico (metri cubi e zone industriali portano crescita abitativa e quindi benessere), idea vecchia di cinquant’anni, è quantomeno miope.

Nessun commento:

Chi vive nella libertà ha un buon motivo per vivere, combattere, morire. (W. Churchill)